In un progetto grafico da sempre ci si chiede: fino a che punto bisogna accontentare i gusti personali del cliente e dei suoi collaboratori, parenti, amici…?
Al Centrostudi Comunicazione, scuola tra le più prestigiose di Roma negli anni ’90, insegnavano a noi aspiranti art director a trattare i clienti come ignari, capricciosi pazienti. Siamo usciti da quella scuola con un ego ingigantito, pieni di aspettative e convinzioni idilliache. La verità è che ogni cliente è diverso dall’altro e che durante la prima riunione con il referente dobbiamo capire il più possibile.
Innanzi tutto dobbiamo uscire da lì sapendo perlomeno:
- Obiettivo del progetto
- Identità aziendale
- Target di riferimento
- Media adatti
- Messaggio di base
(leggi anche le fasi progettuali secondo la metodologia di Munari e il modo migliore per determinare un preventivo)
Ma soprattutto dobbiamo capire chi abbiamo davanti:
- Si affida a noi perché riconosce la nostra professionalità?
- Si affida a noi perché è insicuro, quindi si affiderà anche alla mamma, alla moglie, alla segretaria…?!
- Ha già un’idea in testa?
- È un tipo creativo che metterà bocca su qualsiasi cosa si faccia?
Il tipo più difficile è il creativo: ti attaccherà da subito con idee su trenini che passano sullo sfondo del sito, astronavi che atterrano nel video aziendale, palazzi che esplodono nei manifesti.
Che fare?
Scoppiare a ridere ed andarsene non conviene a nessuno. La cosa migliore è partire da un particolare positivo qualsiasi della sua idea (ce ne sarà pur qualcuno!), complimentarsi per quello ed elaborare il resto per rendere il progetto efficace. Faremo dei voli pindalici e trasformeremo completamente la sua idea, proponendo varianti via via più consone, fino ad una bozza primordiale decente. Non è una partita semplice, ma con un po’ di esercizio e maestria usciremo dalla riunione col contratto in tasca, il cliente esaltato, la riuscita del progetto assicurata.
Il mio parere conclusivo.
Il grafico non è come un medico che ha davanti a sé un’unica soluzione a cui il cliente si deve sottomettere.
Il grafico è come un sarto che sa cosa sta meglio al cliente e quali sono le forme e i colori più adatti a lui, ma soprattutto sa capirne la personalità e i gusti e cerca di tenerne conto in fase di progettazione.
La grafica non è una scienza esatta come la medicina: i gusti personali e il background culturale determinano prepotentemente il giudizio di un progetto e difficilmente si può piacere a tutti. L’importante è colpire il target e se riusciamo ad accontentare il nostro referente, la maggior parte del lavoro è fatto.
Siete d’accordo?